Ci accingiamo ad affrontare un argomento alquanto
complesso e spinoso.
Che tuttavia esiste, sebbene si presenti,
generalmente, in maniera alquanto
subdola e sfuggente.
L’occasione per
trattarlo, sebbene da tempo ci frullasse
nel cervello, ci è stata data dal nostro CT della Nazionale di Calcio,
Prandelli, con queste parole, rilasciate
all’ANSA il giorno dopo la finale Europea di Kiev:
'In cosa
potevo essere piu' bravo? In finale avrei dovuto avere il coraggio di cambiare
di piu'. Ma sarebbe stata una mancanza di rispetto per chi mi aveva portato
in finale'.
Sui motivi della “disfatta di Kiev” ci siamo già
soffermati, ponendo in rilievo gli errori, anche gravi, commessi da
Prandelli sia nella gestione complessiva
del torneo sia, in particolare, nella disastrosa gestione della finale con la Spagna.
Reso onore allo stesso Prandelli per l’onestà della parziale ammissione di colpa (riconosce che, almeno nella finale
, doveva cambiare di più. Non basta: il problema è stato anche aver cambiato
male; prima e nel corso della partita!), la nostra attenzione è stata attratta
dalla motivazione dell’errore ammesso: “sarebbe
stata una mancanza di rispetto..” . Vale a dire : non ho potuto cambiare
per debito di riconoscenza verso chi mi
aveva portato alla finale.
Questo è il punto; e di questo, ora, tentiamo una analisi
Intanto, vorremmo ricordare ai lettori, che questa
contrapposizione tra Riconoscenza ed Autolesionismo, è alquanto ricorrente nel
nostro calcio. Ricordiamo, per brevità, solo altri due “casi eccellenti”:
1- nel
Mondiale di USA -94 il nostro CT , Arrigo Sacchi, arrivato, anche lui, alla
finale, schierò una formazione di uomini stanchi ed infortunati (proprio come
Prandelli, a Kiev...). Ricordiamo , in particolare, la forzata utilizzazione di Franco Baresi (al
rientro dopo una operazione al menisco effettuata , appena 25 giorni prima, a
torneo in corso) e di Roberto Baggio, infortunatosi nella semifinale di tre
giorni prima e non guarito (lasciando colpevolmente in panchina un Gianfranco
Zola , peraltro in gran forma). Ma non basta; come i tifosi più appassionati
ricorderanno , la finale (contro un Brasile per nulla trascendentale...) fini ai
calci di rigore; ebbene ricorderete chi calciò i nostri rigori: per primo
Baresi: sbagliato; per ultimo, e decisivo, Roberto Baggio: Sbagliato e Mondiale
al Brasile. Il giorno dopo, Sacchi, per giustificare la grossolanità degli errori commessi, usò
parole analoghe a quelle di Prandelli e
cioè ( riferendosi al fatto di aver schierato e fatto tirare i rigori a Baggio
e Baresi ): “... per i grandi meriti avuti
fino a quel momento” .
2- Nel
Mondiale di Sud Africa 2010, il nostro CT
Marcello Lippi, ritornato alla guida della Nazionale nel 2008 ( dopo due
anni “sabbatici”), richiamato a tale
funzione dalla Federazione , assai probabilmente per “debito di riconoscenza”
(per aver vinto il precedente Mondiale di Germania 2006), schierò ben 9 (avete letto bene: nove) dei suoi
“Campioni del mondo” di quattro anni prima; ovviamente, anche lui , per aver
scelto di adempiere ad un “debito di
riconoscenza”(verso chi gli aveva fatto vincere il precedente mondiale); ma
con lo stesso (peggiore) risultato di
Sacchi e Prandelli (ultimi ed eliminati, già nel girone).
Non andiamo oltre(gli esempi sarebbero innumerevoli):
tanto basta per affermare che il problema esiste. E che la tendenza è il
privilegiare il senso di riconoscenza a
scapito del risultato sportivo (autolesionismo).
Vorremmo, perciò, tentare di “dire la nostra” con l’avvertenza
che facciamo riferimento solo al fatto sportivo (in particolare all’attività
calcistica), tralasciando altri aspetti
, pur notevoli, come quelli etici e filosofici.
Nel mondo delle economie di mercato che caratterizzano le
democrazie occidentali, gli impegni professionali sono, generalmente,
“orientati al risultato”.
Questo vale, soprattutto, per le professionalità NON autonome, per le quali, ovviamente, si deve “rendere conto” (ai datori di lavoro) dei risultati
discendenti dalla propria attività.
I nostri CT della Nazionale di Calcio, sono , appunto,
professionisti dipendenti (dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio),
profumatamente pagati, e tenuti a “rendere
conto” dei risultati della propria attività.
Naturalmente, nel corso di tale attività si pongono,
spesso, situazioni che implicano scelte difficili e problematiche sotto vari
aspetti, non esclusi quelli di natura etica e filosofica.
Ebbene, noi riteniamo che, in un quadro come quello
descritto, le situazioni “difficili” si debbano risolvere facendo ricorso al principio basilare: tutto deve andare nella direzione del “risultato”
( ovviamente, ottimale, rispetto ai dati di fatto ).
Quindi, niente
“debiti di riconoscenza”, con
conseguente mancanza di risultato ottimale.
Quindi, ancora, Sacchi, Lippi, Prandelli (et similia), hanno sbagliato.
Eppure, questo ragionamento conclusivo, ci lascia
ancora una domanda non soddisfatta:
Ma perché Sacchi, Lippi , Prandelli (et similia) hanno scelto diversamente?
E’ una pura casualità?
O c’è dell’altro, che ci sfugge?
Magari qualche lettore ci viene in soccorso?
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