mercoledì 27 aprile 2011

Troppo Pepe nel clasico di Champions

Alcuni storsero il naso quando il Pallone d’Oro 2010 fu assegnato a Messi, anziché a Xavi o Iniesta. Chiaramente l’oggetto del contendere erano soprattutto i criteri di valutazione nell’assegnazione del premio, e in quest’ottica ha pesato la fusione del premio di France Football con il FIFA World Player of the year, che generalmente badava meno alle conquiste di trofei dei giocatori in lizza. Ma a me era venuto spontaneo chiedere: si può davvero criticare l’assegnazione di un premio tale a quello che è indiscutibilmente il miglior calciatore del mondo?
            E che lo sia indiscutibilmente Messi lo ha dimostrato questa sera al Santiago Bernabeu, nell’andata della semifinale di Champions League, contro il Real Madrid, a casa del Real Madrid. Risultato finale: 0-2, Messi-Messi. Con questi due gol l’argentino raggiunge quota 52 (cinquantadue!) gol in stagione (in 50 partite), di cui 11 nelle 11 partite di Champions.
Da quando Guardiola lo ha spostato centralmente, a galleggiare tra centrocampo e attacco, Messi è diventato ancora più micidiale di prima, se possibile. Ora non parte più dalla fascia destra, con conseguente tutto sommato prevedibile movimento a rientrare verso il centro col piede sinistro e conseguente raddoppio automatico del centrocampista di fascia: parte dal centro, e non solo può puntare il difensore su entrambi i lati, ma è anche più difficile scegliere l’uomo con cui marcarlo per gli allenatori avversari.
            Mou era effettivamente riuscito a trovare una buona soluzione: Pepe, il suo uomo più dinamico e atletico e in più con spirito difensivo e combattivo, avanzato a centrocampo per dare man forte alla zona più pericolosa quando giochi contro il Barça, appunto davanti alla difesa. Molto dispendioso, ma molto efficace il lavoro richiesto ai 3 centrocampisti, sempre molto attenti a scalare a turno su Messi, su Xavi o nella propria posizione: questa tattica sembrava funzionare, un paio di invenzioni di Messi – una per Xavi – a parte, fino all’espulsione di Pepe.
            Intendiamoci: la tattica del Real era quella di chiudersi al massimo e provare, ma solo a sprazzi, a pressare altissimo per provare a rubare palla, e qualche volta con Mascherano e Busquets ci stava anche riuscendo, e ripartire dovendo puntare solo la difesa del Barça. Il possesso palla alla fine del primo tempo era 70-30 per i blaugrana, che però non riuscivano a creare le solite manciate di palle-gol: anche Guardiola, segnato dal pareggio in campionato e dalla sconfitta in finale di Copa del Rey, ha presentato una squadra un po’ più guardinga, limitando le scorribande di Daniel Alves e con Puyol terzino sinistro (vabbè, gli altri 3 terzini erano indisponibili).
            Il rosso per il fallo di Pepe, più stupido che violento (Dani Alves stava già togliendo la gamba), non si può dire che sia privo di fondamento: il portoghese ha incarnato lo spirito che voleva Mourinho per questo Real, ma galleggiando in quella zona-limite, sempre rischiosa, e, proprio quando non ci voleva, l’ha pure oltrepassata con la suo eccessiva foga. Chiaro come le conseguenze siano state disastrose per il Real Madrid, che non è riuscito a capitalizzare alcune occasioni da palla inattiva (3 punizioni di Cristiano Ronaldo) e da calcio d’angolo, e alla fine è dovuto soccombere alla forza del giocatore più forte del mondo.
            Primo gol: appena entrato Afellay fa quello che Pedro avrebbe potuto e dovuto fare di più, cioè puntare uno contro uno Marcelo, il quale scivola in partenza. Afellay è bravissimo ad accorgersene e ad attaccarlo, superarlo, alzare la testa per guardare in mezzo e darla forte e tesa sul primo palo. Messi si avventa come uno squalo e di sinistro anticipa Sergio Ramos e infila Casillas sotto le gambe.
            Secondo gol: capolavoro di Messi, che riceve da Xavi in corsa sulla trequarti, proprio quello che Mourinho voleva evitare. Ma Pepe è fuori causa e allora nessuno riesce a fermare l’asso argentino. La mia descrizione finisce qua, il gol potrete vederlo su YouTube, non vorrei sminuirlo con le parole.
            Il discorso qualificazione sembra in apparenza compromesso con il Real, ma non paragonerei la situazione a quella dell’altra semifinale, anche se il risultato dell’andata è stato identico: ragioni di organico e di rivalità mi danno l’idea che il Real abbia comunque una piccola speranza di farcela.
Per finire, un paio di pepate:
  1. El calienta el ambiente, scrivevo qualche mese fa: proprio sicuro che anche stavolta questo ambiente caliente abbia fatto il gioco della tua squadra?
  2. Chi hai tu in panchina? Adebayor, Benzema, Higuain e Kakà? A pochi minuti dalla fine tolgo Villa, e chi ti schiero in campo? Lo sconosciuto esordiente 17enne Sergi Roberto… Tiè!

martedì 26 aprile 2011

Il Manchester virtualmente in finale

Scrivo virtualmente solo per pura forma, perché il ritorno a Old Trafford va ancora giocato, ma considerando il risultato dell’andata, sommato alle potenzialità e all’esperienza delle due squadre in campo, sarà pressoché impossibile per Raul e soci riuscire a centrare quella che sarebbe un’epica impresa e guadagnarsi la finale della Champions League.
            Il verdetto della Veltins Arena è stato di 0-2 per il Manchester United, che ha dominato per praticamente tutta la partita lo Schalke 04. Dopo un avvio abbastanza equilibrato, con tiri in porta da una parte e dall’altra (ma più pericolosi quelli dei Red Devils: ci è voluto subito un mezzo miracolo di Neuer su tiro di Rooney deviato da Uchida), la squadra di Sir Alex Ferguson si è impossessata del pallino del gioco, non mollandolo più fino al 90’; le uniche pochissime occasioni in cui lo Schalke 04 avrebbe davvero potuto fare male a Van der Sar sono state su un paio di calci d’angolo nel secondo tempo e quando un paio di volte è riuscito a recuperare palla nei pressi della metà campo: ma anche in queste poche occasioni, non sono state create nitide occasioni da rete.
            Grande personalità e voglia di vincere per il Manchester, che però fa anche girare la palla splendidamente sia a metà campo che sugli esterni, dove lo Schalke non ci ha davvero capito niente. Anche se stavolta Ferguson ha scelto di schierare Hernandez, arretrando Rooney, la manovra a centrocampo della squadra non ne ha risentito, anzi: Rooney che arretra, ed Evra che avanza formano, assieme al dinamismo di Park, alla sostanza di Carrick, alla classe e intelligenza di Giggs e agli scatti di Valencia (Sarpei avrà probabilmente gli incubi stanotte) una cerniera che unisce quantità e qualità da vendere.
            Se vogliamo trovare dei difetti alla prestazione dello United, si possono sottolineare gli errori sotto porta commessi nel corso del primo tempo, durante il quale il Manchester è giunto alla conclusione diverse volte (saranno 18 al termine della partita, di cui 11 nello specchio della porta) e altre volte ha sprecato senza nemmeno tirare in porta (Valencia e Hernandez sbagliano il passaggio per Rooney quando potevano provare anche il tiro in porta): certo, Neuer ha fatto la sua parte in questo, ma anche gli attaccanti in maglia rossa avrebbero potuto fare di più in alcune circostanze.
            Il primo gol al 67’: Rooney in questa posizione dietro alla prima punta parte leggermente spostato dalla sinistra e rientra (uno degli errori degli uomini di Ragnick è stato proprio quello di concedere troppo spazio a Rooney sulla trequarti), Giggs vede lo spazio e ci si inserisce, Rooney lo serve col filtrante e il gallese, a tu per tu con Neuer, riesce a far passare il pallone rasoterra sul secondo palo.
            Il secondo gol al 69’: in seguito a un lancio lungo di Giggs per Valencia, l’ecuadoregno riesce a sprintare e a servire in qualche modo centralmente un Hernandez in corsa, il quale, con l’esterno serve a Rooney l’assist per battere a rete dall’interno dell’area di rigore. Piatto destro sul primo palo, Neuer ancora una volta incolpevole.
            Da notare come ancora una volta, dopo il Tottenham, una squadra che ha in precedenza cacciato fuori un’italiana dalla competizione, prenda una vera e propria lezione da una delle squadre padrone del calcio europeo.

lunedì 25 aprile 2011

Due sex symbol per Pepsi (e Twitter)

Carino il recente spot della Pepsi, starring Sofia Vergara e David Beckham. Lei è una formosissima attrice colombiana, attualmente famosa – oltre che per le sue curve – per la sua partecipazione alla serie Modern Family; lui lo conoscete e lo conoscono tutti.
            Su una spiaggia di Los Angeles, alla formosissima viene voglia di rinfrescarsi un po’ con una bella Diet Pepsi. Il problema è che la coda al baraccozzo è lunga eterna. Cosa fa la formosissima? Prende in mano il suo smartphone, va su Twitter e scrive che ha appena visto Beckham sul molo: insomma, la più vecchia delle gag. Ovviamente tutte le signore e signorine in coda al baraccozzo non solo hanno uno smartphone in mano, ma stanno anche guardando Twitter – effettivamente molto popolare negli USA – e sono iscritte alla pagina di Sofia Vergara – effettivamente molto popolare, ma immagino più presso il pubblico maschile –. Fuggi fuggi generale dal baraccozzo, con direzione molo per ammirare Becks.
            La formosissima, opportunamente inquadrata da dietro mentre si dirige al baraccozzo, può così godersi la sua Diet Pepsi. Dopo il claim, la coda con Becks.

Clicca il link qui sotto per vedere il video dello spot:

domenica 24 aprile 2011

Quasi fatta...

La seconda sconfitta consecutiva del Napoli in corrispondenza della vittoria del Milan a Brescia lancia i rossoneri a +8 in classifica sull’Inter, che ha riscavalcato i partenopei al secondo posto della classifica. Se si considera che il Milan vanta un vantaggio negli scontri diretti sia con l’Inter che con il Napoli (4 vittorie su 4), i punti di distacco degli uomini di Allegri sono in realtà 9 dall’Inter e 10 dal Napoli, poiché, in caso di arrivo a pari punti con una delle due inseguitrici, il titolo andrebbe comunque in via Turati.
            Anche guardando il prossimo impegno del Milan (in casa contro la squadra meno in forma della Serie A, il Bologna), pare difficile che lo scudetto non finisca in mano ai rossoneri, anche se il calcio ci ha spesso abituato a colpi di scena: da notare infatti che nelle settimane successive il Milan dovrà presentarsi a Roma e a Udine, due trasferte molto pericolose.
            E d’altra parte lo scudetto era chiaramente l’obiettivo societario n°1 per quest’anno (squadra troppo più forti in Europa per competere per la Champions, anche se contro il Tottenham si poteva fare qualcosa di più), già da quando è stato acquistato Ibrahimovic dal Barcellona, calciatore che ha vinto tutti gli ultimi 8 campionati in cui ha militato, 3 leghe (Eredivisie, Serie A e Liga) con 4 maglie diverse (Ajax, Juve, Inter e Barça), poi Robinho – una delle due sorprese in positivo in campo, insieme a Boateng – e soprattutto con il mercato  di gennaio, quando la società ha deciso di prendere giocatori importantissimi come Van Bommel e Cassano.
            In una stagione più equilibrata del solito (soprattutto per i vari problemi in casa nerazzurra), i rossoneri hanno avuto il rendimento più costante durante il corso dell’anno con un egual bilancio di 11 V, 4 N e 2 P sia in casa che in trasferta. Il gioco del Milan non ha mai incantato, ma paradossalmente è proprio qua che vanno i meriti maggiori per Allegri, che è stato abbastanza eclettico e abile da capire che, non potendo dotare la squadra con un gioco avvolgente e spettacolare (come ai bei tempi di Ancelotti), ha preferito puntare tutto o quasi su Ibra, decisivo per quasi tutto l’anno (a parte gli ultimi 2 mesi), e giocare con 3 mediani per coprirsi di più quando serviva (mandando spesso in panchina gente come Pirlo e Seedorf, salvo riproporli quando necessario o quando particolarmente in forma, tipo Seedorf in questo periodo); bravo anche nel trovare la posizione giusta di Boateng, trequartista non di rifinitura, ma di inserimento, alla Perrotta nella Roma, con Ibra alla Totti che viene incontro e lo serve nello spazio; qualche riserva per alcune scelte di inizio anno (soprattutto Papasthatopoulos prima di Yepes nelle gerarchie come centrale, disastroso nella sconfitta di Cesena), ma tutto sommato il tecnico livornese ha effettivamente ripagato la fiducia della società nei suoi confronti, anche e soprattutto nello scontro diretto con Leonardo nel derby.
            Poi naturalmente ci sono i punti di eccellenza nei giocatori: oltre a Ibra, gli sprazzi di Pato (14 gol in 22 partite), l’ascesa di Thiago Silva a miglior difensore del campionato, la seconda giovinezza di Gattuso, la stagione da Nazionale di Abbiati, la progressiva crescita di Abate come terzino.
            Da sottolineare anche i jolly che riesci a pescare nel corso di un’annata che sembra proprio favorevole: il gol di Strasser a Cagliari e il gol di Gattuso (con complicità di Buffon) a Torino contro la Juve, due trasferte non facili, che il Milan è riuscito a vincere proprio grazie a questa due matte.
            In conclusione: non è proprio finita, ma non vincere uno scudetto con 9 punti di vantaggio a 4 giornate dal termine rappresenterebbe davvero un piccolo dramma sportivo.

giovedì 21 aprile 2011

Uno titulo

Si sapeva che tra i pochi in grado di battere il Barcellona degli ultimi anni ci fosse Mourinho, anche se la manita di qualche mese fa aveva fiaccato parecchio le aspettative dei tifosi del Real. Ma d’altra parte la dirigenza madrilena lo aveva scelto proprio dopo il suo successo al Camp Nou nella semifinale di ritorno della passata Champions League quando, nonostante la sconfitta per 1-0, era riuscito a condurre la sua Inter all’atto conclusivo della competizione calcistica per club più prestigiosa.
            I gol di Camuñas e De Las Cuevas incassati nel girone di ritorno, che hanno significato altrettante sconfitte del Real in Liga, hanno compromesso il cammino dei blancos in campionato, anche perché il Barcellona è andato avanti a percorso netto: ecco perché il primo clasico, terminato 1-1 per effetto dei rigori trasformati da Messi e Cristiano Ronaldo, aveva poca importanza dal punto di vista del risultato in sé – coi blaugrana avviati alla conquista del titolo –, ma poteva e ha effettivamente rappresentato un punto di svolta della stagione dal punto di vista psicologico della squadra allenata dallo Special one.
            Il Real è sceso in campo convinto di potercela fare, ha fatto tatticamente la partita che doveva fare (non si può stravincere contro questo Barça), attento ma pronto a pungere l’avversario, e alla fine, grazie a un gol di testa di CR7, è riuscito a portare a casa la Copa del Rey (o meglio, fino al pullman: Sergio Ramos l’ha fatta cadere, mandandola in frantumi), il primo titolo di Mourinho al Real Madrid. Chiaro che dopo questa finale, il doppio confronto di Champions League diventa un piatto ancora più succulento…

lunedì 18 aprile 2011

Il settimo sigillo

È cominciata la lunga stagione della terra rossa nel circuito internazionale e, ancora una volta, si apre nel segno, manco a dirlo, di Rafael Nadal. Il maiorchino si aggiudica infatti per la settima volta il Master 1000 di Montecarlo (430mila $, fate un po’ i conti…) battendo in finale il connazionale Ferrer per 6-4 / 7-5.
            Il risultato era ovviamente preventivabile, ma quello che è da sottolineare è come Nadal abbia vinto il torneo (battendo tra l’altro lo scozzese Murray in semifinale) soffrendo ma neanche troppo, non essendo ancora al meglio della sua condizione, non esprimendo ancora il top del suo tennis. Davvero impressionante questo giocatore che, salvo infortuni, si appresta a migliorare i record di ogni epoca su questa superficie (ricordiamo però che Borg si è ritirato abbastanza giovane, a 28 anni).
            L’altro grosso ostacolo per il maiorchino sarà senza dubbio rappresentato dal serbo Novak Djokovic, che quest’anno non ha ancora perso una partita e che a Montecarlo ha preferito non andarci per ricaricare le pile dopo la straordinaria stagione sul cemento americano. Djokovic ha dichiarato che il suo programma prevede un inizio soft sulla terra in casa propria, al torneo di Belgrado, per poi calarsi nei tornei più importanti, Roma, Madrid e Parigi. L’impressione è che possa essere più vicino il serbo a battere Nadal sulla terra che lo spagnolo a battere Djokovic sul cemento, quindi si aspetta trepidamente la prima finale, probabilmente al Foro Italico, per vedere come procede lo scontro su questa superficie.
            Il grande assente sembra essere sempre di più Roger Federer, uscito malamente contro Melzer: ovviamente la terra rossa non è mai stata la sua superficie (è riuscito a vincere il Roland Garros solo quando Soderling gli ha fatto il regalo di togliere di mezzo Nadal), ma appare chiaro un fisiologico calo di motivazioni piuttosto che di fisico o tecnico, che fatalmente emerge in tutta la sua evidenza nei tornei “minori” o sui quali lo svizzero pare non puntare veramente: immagino che gli sforzi di Federer si concentreranno sul torneo di Madrid, in preparazione del Roland Garros, dove comunque non partirà come favorito, e sulla successiva stagione sull’erba dove ancora dovrebbe essere il numero 1.

Quando la strada si fa dura, il duro si fa strada

Si sa, i playoff NBA sono un’altra cosa rispetto alla stagione regolare. Non in generale, quanto nella singola partita: l’intensità sale a mille e generalmente vengono fuori i campioni quelli veri. Per questo è curioso per me dare un’occhiata al tabellone (nell’immagine) e alle probabilità di vittoria delle favorite, dando anche uno sguardo indietro all’inizio della stagione: in un post del 28 ottobre, infatti, avevo riportato le quote per il vincitore dell’anello. Vediamo come le 82 partite di questi 6 mesi hanno cambiato la situazione e le quote (chiaro che in generale le quote si sono abbassate anche per una questione statistica, che ha alla base il mero numero di squadre in lotta per l’anello stesso).

N.B.: purtroppo il confronto deve essere fatto con le quote di due bookmaker diversi, dato che William Hill (il bookmaker consultato a inizio anno) pare non quotare il vincitore della NBA in questo momento storico. Le quote attuali sono prese da bwin.

POS
SQUADRA
QUOTA APRILE
QUOTA OTTOBRE
CONSIDERAZIONI





1





LA Lakers





3,50





4,00
I campioni in carica sono ancora considerati i favoriti, o comunque tra i favoriti. Nel corso dell’anno sono sorti molti dubbi, la squadra spesso non ha risposto come vorrebbe coach Jackson, soprattutto dal punto di vista caratteriale. E in più c’erano degli Spurs in grandissima forma. Ma con i San Antonio in lieve calo fisico nei playoff potrebbero tornare i favoriti ad Ovest, e non solo per l’esperienza.



2



Miami Heat



4,00



2,87
I favoriti da tutti a inizio anno, soprattutto grazie alla presenza dei big 3, hanno evidenziato anche loro qualche problema, di amalgama, di sparring partner. Ma una squadra con Wade e un James affamato di anello in quintetto non può non essere tra le favorite.




3




Chicago Bulls




5,50




17,00
La grande sorpresa dell’anno. Miglior record della NBA, presumibilmente miglior allenatore (Thibodeau) e miglior giocatore (Rose) della stagione. La difesa e il gioco di squadra dei Bulls non possono più essere sottovalutati: non sono in testa alle quote solo per una questione di esperienza.




4



San Antonio Spurs



7,00



26,00
Paurosa la quota a inizio anno, ma d’altra parte si sapeva che senza problemi fisici, bisognava fare i conti anche con loro. Nettamente la miglior squadra della Lega per quasi tutta la stagione, si sono fatti soffiare il primato dai Bulls nel finale. Spaventa un po’ l’infortunio al gomito patito da Ginobili proprio all’ultima partita di regular season.




5




Boston Celtics




7,50




9,00
Similarmente agli Spurs, ma a Est, i vice-campioni saranno un osso duro durante i playoff, specialmente se riusciranno a schierare Shaq per una ventina di minuti a partita, dal momento che hanno perso Kendrick Perkins. Grande esperienza, grande difesa, grande effetto pubblico in casa e zero paura in trasferta. Occhio ai Celtics di coach Rivers.



6



Oklahoma City Thunder



18,00



15,00
Durant ha vinto per la seconda volta consecutiva la classifica dei marcatori, Westbrook e soci attaccano il canestro con un’atleticità rara da vedere, anche nella NBA. Ma non sono ancora pronti per gestire un certo tipo di partite. Ne riparliamo tra un paio d’anni.


7


Dallas Mavericks


18,00


23,00
In pochi credono davvero in loro, che la grande occasione l’hanno avuta nel 2006 e persa in finale contro Miami. Classe Dirk avrà il suo bel daffare per arrivare in finale di conference.



8



Orlando Magic



20,00



11,00
Come i Mavs a Ovest, anche sui Magic in pochi punterebbero davvero fino in fondo. Orlando ha perso qualche punto per strada: nonostante il miglior pivot a Est, la regular season poteva vederli maggiori protagonisti, mentre invece si sono visti addirittura superare dai Bulls, oltre che dai più favoriti Heat e Celtics.


domenica 17 aprile 2011

MJ: di un altro pianeta

Grazie a un link di un mio amico mi è capitato di imbattermi nella seguente pagina Web:


La tesi che si vuole dimostrare in quel sito è che Kobe Bryant sia già “migliore” di Michael Jordan. Se poi cliccate su “Begin Slideshow”, dalla numero 10 alla numero 1, vi compariranno le 10 argomentazioni per le quali, per l’autore del sito, Kobe è appunto meglio di Jordan.
Al di là della difficoltà di confrontare personaggi e giocatori di epoche diverse – ma neanche troppo, in questo caso –, per uno cresciuto con le immagini di MJ nelle finali NBA degli anni ’90 leggere cose simili ha fatto alzare il sopracciglio, alla Ancelotti. Con tutto il bene che si può dire ovviamente di Bryant, il giocatore che di avvicina comunque di più a MJ, che io ho però sempre ritenuto di un altro pianeta.
Mi lancio allora in una obiezione della tesi sostenuta, attaccando una per una le 10 argomentazioni per poi finire con una personalissima considerazione (in corsivo le argomentazioni dell’autore del sito, la mia risposta in caratteri classici):

10. Nessuno stop in carriera
MJ: si è ritirato due anni per giocare a baseball, poi dopo il repeat-the-threepeat si è ritirato di nuovo perché sapeva che la sua squadra si stava sfaldando.
Kobe: ha giocato sempre nei Lakers, nelle belle come nelle brutte stagioni.
Al di là del fatto che è molto più facile fare la “bandiera” ai Lakers che ai Bulls, dal momento che la città (e la squadra) è la metà più ambita della lega dai giocatori e quindi c’è più possibilità di avere dei campioni in squadra e conseguentemente un bel roster, io direi proprio che MJ può essere considerato una bandiera dei Bulls: non scordiamoci gli anni precedenti al primo titolo conquistato. Vero è che poi si è ritirato due volte, per poi addirittura giocare per un’altra franchigia, però la sua immagine rimane indelebilmente quella legata ai Chicago Bulls.

9. Tiri liberi e tiri da 3
MJ: in carriera, ha tirato con l’83,5% ai liberi e con il 32,7% da tre.
Kobe: in carriera, ha tirato con l’83,8% ai liberi e con il 34,1% da tre.
Stiamo parlando di niente.

8. Derek Fisher non è Scottie Pippen
MJ: Pippen, l’unico giocatore che c’è sempre stato negli anelli di MJ, era illegale.
Kobe: Fisher, il compagno di più lungo corso ad aver giocato al fianco di Kobe, è stato ed è un buon giocatore, ma non ai livelli di Pippen. Inoltre Kobe ha visto cambiare molte volte la sua squadra.
Sì, è vero che Pippen è stato una delle “spalle” più forti della storia della NBA, ma comunque non si gioca in due, si gioca in 5 e poi c’è anche la panchina… Ah: Shaq?

7. Più cambiamenti nello staff
MJ: ha avuto alcuni cambiamenti in squadra.
Kobe: ne ha avuti molti, ma molti di più, da Kwame Brown a Payton, da Shaq ad Adam Morrison.
Vero, verissimo. Anzi, MJ tentava sempre di fare in modo che i suoi fedelissimi restassero. Un punto a favore di Kobe, se volete, ma non credo che sposti quanto altri fattori che si stanno discutendo.

6. Più competizione
MJ: squadre molto forti da affrontare.
Kobe: ha dovuto fronteggiare i Pistons e soprattutto gli Spurs, un’altra mini-dinastia, se volete, come la regular season di quest’anno sta dimostrando.
Boh, come dice l’autore stesso, è una questione di difficile soluzione: ai tempi del primo three-peat di MJ c’erano ancora – anche se in fase calante – i Lakers di Magic, i Celtics di Bird, i Suns di Barkley; ai tempi del secondo soprattutto i Jazz di Stockton e Malone, più che i Sonics di Kemp. Difficile dire l’ultima parola al riguardo.

5. I premi da MVP sono fuorvianti
MJ: vinti 5.
Kobe: vinto 1. Vuol davvero dire che Kobe è stato il miglior giocatore dell’NBA una volta sola? Ovviamente no. Il premio da MVP è fuorviante, a meno che non consideriate le carriere di Nowitzki e Iverson al livello di quella di Kobe.
Ovviamente Bryant sopra Nowitzki e anche ad Iverson (chissà però con The Answer a LA e il Black Mamba a Phila come sarebbero andate le cose): fatto sta che se vuoi perorare la causa di Kobe, dovresti tenerti il più lontano possibile dall’argomento MVP. Magari non è così importante come si può pensare, ma è per forza un punto a favore di MJ.

4. Kobe è la grande stella, non Shaq
La vecchia questione contro Bryant era: “Kobe ha vinto 3 titoli grazie a Shaq”. A tutto il 2010, Kobe ha 5 anell contro i 4 di Shaq, ed è stato la stella di entrambe le squadre, mentre Shaq a Miami era la spalla di Wade. Non sto dicendo che Kobe avrebbe comunque vinto i titoli senza Shaq, ma semplicemente che non li ha vinti solo grazie a Shaq.
Ma non si parlava di Kobe vs MJ? Comunque, questa della vecchia storia contro Kobe per cui i primi tre titoli li ha vinti grazie a Shaq rappresenta un nervo scoperto per i “kobisti”: chiaro ed evidente che la differenza in quella squadra di LA la faceva avere The Most Dominant Ever nelle due aree del campo, e non la classe e l’atletismo dei tempi di Kobe. D’altra parte, lo ammette lo stesso autore: Kobe non avrebbe mai vinto quei tre titoli senza Shaq, ma nemmeno con un altro al posto di Shaq, perché in quegli anni in cui Shaq era in forma fisica era davvero straripante fisicamente.

3. Giocare infortunato
MJ: dopo la stagione del 1986, nella quale si ruppe il piede e saltò 64 partite, Jordan non ha mai sofferto di infortuni davvero debilitanti come Kobe. Certo, ha dominato nel corso della sua carriera, a dispetto di alcuni piccoli infortuni, e c’è stata anche la famigerata “flu game” delle Finali del 97.
Kobe: ha dovuto sopportare 3 operazioni chirurgiche al ginocchio – di cui una questa estate –, ha giocato con il morbillo e con infortuni al dito indice della mano destra, a causa del quale doveva giocare con un pesante bendaggio alla mano. Piccolo vantaggio per Kobe in questa categoria.
Già, forse sì, forse c’è un piccolissimo vantaggio per Kobe in questa categoria. Ma la citata “flu game” del 97 di His Airness potrebbe anche far pendere l’ago della bilancia dalla parte di MJ, considerando proprio che si trattava di una serie di finale. Io metterei una X su questo fattore.

2. Kobe è forse il miglior Laker di sempre
Recentemente, questo dibattito si è ristretto a Kobe vs Magic. Chi è il migliore di sempre? Beh, anche se pensate che Magic sia stato migliore di Kobe, solo il fatto che Bryant entri a far parte di un discorso simile è una certificazione dei suoi traguardi. I Lakers sono la migliore organizzazione nella storia dello sport, e Bryant è forse il miglior Laker di sempre. Questo è un fattore importante.
No, non lo è. Lasciando perdere il confronto Magic vs Kobe (più difficile da fare che MJ vs Kobe, per via dell’unicità di Magic come giocatore e come storia personale e nella lega), e il fatto che non tutti gli osservatori saranno d’accordo nel restringere la rosa dei candidati al premio di miglior Laker a questi due signori, si era partiti da un confronto tra Bryant e Jordan! Certo, i Lakers hanno avuto tra le loro fila un numero di grandissimi giocatori, paragonabile solo a quello dei Celtics forse, sicuramente più dei Bulls, ma questo non influisce minimamente a mio parere sul merito della discussione.

1. Nessun giocatore è un One-Man Show, ma Jordan aveva a disposizione un supporting cast migliore
Hanno giocato entrambi al fianco di ottimi, grandi giocatori, addirittura All-Stars e Hall of Famers. Ma…
MJ: ha giocato con 3 All-Stars (Pippen, Rodman e Grant), 2 tra i migliori difensori della NBA (Rodman e Pippen), uno dei migliori 50 giocatori di tutti i tempi della NBA (Pippen) e 2 ottimi tiratori da 3 (Kukoc e Kerr).
Kobe: ha avuto ragazzi come Shaq, Pau Gasol, Fisher, Lamar Odom, eccetera. Kobe ha avuto meno aiuto di Jordan.
Mai nella vita! A mio modo di vedere il supporting cast dell’ultimo anello di Kobe è di extra-lusso: 2 torri sotto canestro (Bynum e Gasol), forti sia tecnicamente che fisicamente in attacco e in difesa, di cui uno dei due è senza dubbio uno dei (se non il) miglior lungo della lega (Gasol, ovviamente); Artest, che gli difende sui migliori attaccanti avversari; Fisher, grande tiratore da 3; un all-around player dalla classe cristallina che farebbe 25 di media in moltissime franchigie, come Lamar Odom. Tutti All-Star, forse tranne Bynum, ma solo per via di una carriera tempestata di infortuni. Se vogliamo poi andare ai primi anelli, allora anche Kobe aveva in squadra uno dei migliori 50 giocatori di sempre della Lega (O’Neal).

Più in generale, la sensazione che mi ha sempre dato Jordan (chissà forse ero più piccolo e quindi più suggestionabile) era quella di un giocatore su cui potevi difendere al 100% e lui poteva segnarti in faccia lo stesso di straccio. Quando la palla scottava, c’era da fare un buzzer-beater o c’era da mettere il tiro decisivo, Jordan mi dava quella sensazione di ineluttabilità del destino (in realtà molti ne ha anche sbagliati in carriera, ovviamente) del pallone: se mai mi fossi ritrovato nelle condizioni di giocarmi la vita in un tiro finale, la palla l’avrei sempre data a Jordan.

sabato 16 aprile 2011

L'eterna lotta tra il bene e il male

Ho voluto intitolare così questo post per la mia sana avversione nei confronti dell’uomo speciale di Setubal e soprattutto per la mia infinita ammirazione per il gioco di Messi e soci, ma chiaramente è un’espressione forzata e chiaramente di parte.
            Fatto sta che nel giro di 18 giorni ci potremo gustare 4 clasicos, uno di campionato (stasera), uno valevole per la finale di Copa del Rey e infine il doppio confronto per decidere chi andrà a Wembley a giocarsi la finale della Champions League contro (Raul permettendo) il Manchester United.
            Al di là delle considerazioni tecniche, che vedono necessariamente i blaugrana leggermente favoriti – mai visto giocare così bene al calcio – ma anche dall’altra parte il miglior allenatore per batterli, vorrei focalizzare un attimo l’attenzione proprio su quest’ultimo e su una delle sue strategie di gestione del gruppo che rappresenta uno dei suoi assi nella manica, ma anche una delle cose che lo fa “odiare” di più tra la stampa e in generale i tifosi (non esclusivamente delle altre squadre) e allo stesso tempo “adorare” dai calciatori che allena.
            Eliminare tutto il carico psicologico che l’attenzione dei media può insinuare nella testa dei giocatori per lasciar loro la mente libera e concentrarsi sul match, senza pensare ad altre cose nocive per la mentalità della squadra: numero 1 in questo. Ma in che modo lo fa? Lo sappiamo benissimo, le conosciamo anche noi le sue sparate in conferenze stampa, non sempre di classe…
            Già solo il fatto che io scriva di questo gli dà ragione – per quel pochissimo che possa contare questo blog. Perché? Conferenza stampa di ieri pre-clasico: inizia a girare la voce che il Mou non si presenterà e che ci sarà solo il vice Karanka. Già fatto in Italia con Beppe Baresi: solo che la stampa iberica annuncia che, in tal caso, lascerà la sala conferenze creando così un piccolo “caso” diplomatico. Cosa si inventa Mourinho? Arrivata la conferenza, entrano in 3: Karanka, l’addetto stampa e lui, per ultimo. Si siedono. Pronti via: l’addetto stampa annuncia che “Mourinho non risponderà ad alcuna domanda”. Il 90% dei giornalisti presenti, sentitisi forse un filo canzonati, prende e se ne va. Alcuni però restano, ma sulle prime 7 domande, 6 sono più o meno di questo tipo: “Perché Mourinho non risponde ad alcuna domanda?”… Lui tace. Dopo un po’ Karanka, lievemente imbarazzato, lascia la sala e con lui anche il Mou e l’addetto stampa.
            Morale della favola? Si è parlato di calcio giocato, dove, per forza di cose, il Real è indietro rispetto al Barça? Si è parlato di un campionato finito se il Real non vince stasera? E poi: si è parlato della manita? Si è parlato di un Cristiano Ronaldo che perde sempre contro il Barça? Si è parlato del fatto che Guardiola da quando è allenatore del Barcellona ha sempre vinto contro il Real?

mercoledì 13 aprile 2011

Decisivo a 37 anni

Per chi prendeva il Manchester United al videogioco Championship Manager 94/95 solo perché c’erano lui e Cantona, vederlo essere ancora il migliore campo in un quarto di finale della Champions League di 17 anni dopo fa un po’ impressione, specie se si considerano i ritmi ai quali hanno giocato Manchester e Chelsea, lontani anni luce da quelli che siamo abituati a vedere sui campi di Serie A.
            Ryan Giggs, 38 anni a novembre, ha giocato ieri la sua partita numero 870 con la maglia dei Red Devils e, ancora una volta, è riuscito a risultare decisivo per il risultato finale, grazie a 2 assist su 2 gol della sua squadra. Il primo gol è quasi tutto suo, anche se negli almanacchi ci è finito il nome del Chicharito Hernandez (e, se si vuole, parte del merito è anche di O’Shea): davvero impossibile per il messicano sbagliare da quella posizione; il secondo gol invece nasce da un’azione di transizione condotta magistralmente dallo United, prima da Rooney, poi dallo stesso Giggs, che aspetta il momento giusto per servire l’inserimento del coreano Park Ji Sung, il quale però ci mette del suo, stoppando bene e calciando perfettamente col sinistro di controbalzo sul secondo palo.
            Vogliamo aggiungere altra carne al fuoco? Bene: il gol più importante ai fini della qualificazione dello United sul Chelsea è stato forse quello di Rooney all’andata, che ha permesso ai Red Devils di sbancare lo Stamford Bridge. Chi ha fatto l’assist? Fate pure 3 su 3…
            Quello che stupisce di più nella carriera di questo giocatore è come sia riuscito a crescere a livello tecnico-tattico, mutando i suoi punti di forza nel tempo: ala sinistra pura tutta corsa e dribbling ai primi tempi della sua carriera (vedere il link sotto per credere), giocatore a tutto campo dotato di un’intelligenza calcistica incredibile e di un sinistro sopraffino nella seconda parte della sua carriera, proprio quando le forze atletiche gli sono venuto giocoforza a mancare – almeno rispetto alle altre ali e terzini più giovani e fisici.
           
Storico gol all’Arsenal nella semifinale di FA Cup del 1999:
http://www.youtube.com/watch?v=hrOyedpeZnk

            Allargando il discorso alle due squadre, duole dirlo, ma Sir Alex ha dato una bella lezione al nostro Carletto: il Manchester ha ampiamente meritato la qualificazione per il gioco espresso in campo, sia all’andata che soprattutto al ritorno, al di là di alcuni episodi che avrebbero potuto cambiare le carte in tavola (il salvataggio di Evra sulla linea su Lampard e il chiaro rigore non concesso per fallo dello stesso Evra su Ramires, all’andata soprattutto). Il Chelsea di Ancelotti ha evidenziato il difetto più ricorrente nelle squadre allenato dal tecnico reggiano: la mancanza di velocità nella manovra. Ogni volta che i Blues tentavano di ripartire, i Red Devils erano pronti a pressarli alti, oppure a chiudersi nella loro trequarti, non lasciando spazi a Lampard e soci.
            Il Manchester invece si candida prepotentemente alla conquista della Champions: squadra forse leggermente sottovalutata dagli osservatori (strano, eh?), sta conducendo la Premier da parecchi mesi, non incantando; ma da qualche tempo pare stia trovando brillantezza e sempre più fiducia nei propri mezzi, con in più i vari Nani e Rooney ai livelli migliori. La semifinale, che sia contro lo Schalke o contro l’Inter, li vedrà favoriti per giocarsi la finale “in casa” a Wembley.

I gol del ritorno del quarto di finale di Champions League, Man UTD – Chelsea 2-1
http://www.youtube.com/watch?v=P8HqB_IBH-8

            L’altro quarto di finale? Beh, alzi la mano chi si aspettava una rimonta dello Shakhtar contro quella macchina da gioco che è il Barça dopo il 5-1 dell’andata. Il Barcellona ha vinto 0-1 con gol di Messi, che ha battuto il proprio record personale di reti stagionali, arrivando a quota 48 con la rete di ieri sera. La squadra allenata da Lucescu a pensarci bene però aveva davvero le carte in mano per tentare lo sghetto, ma si è giocata la qualificazione all’andata, quando nei primi 12’ ha avuto 3 chiare occasioni da gol per passare in vantaggio, senza concretizzarne nemmeno una.
           
            Questa sera i ritorni degli altri due quarti di finale: la qualificazione del Real è scritta nella pietra, quella dello Schalke un po’ meno, ma gli uomini di Ragnik sono ovviamente stra-favoriti per il passaggio del turno.