venerdì 6 gennaio 2012

Gip "copia e incolla"

Il titolo di questo articolo non è altro che la sintesi estremizzata di un notizia apparsa sul Corriere del Mezzogiorno lo scorso 3 gennaio 2012, che i lettori potranno consultare navigando sul seguente link, dalla quale apprendiamo che il Giudice per le indagini preliminari (GIP), avrebbe disposto l’arresto, avvenuto il 14 novembre scorso, di Gaetano Riina fratello del boss di Cosa nostra Totò, perché, nell’ordinanza, avrebbe fatto un semplice “copia e incolla”, derivandolo dalla richiesta di arresto presentata dalla Procura di Napoli e, per questo, il Tribunale del riesame del capoluogo campano ha annullato l'arresto di Gaetano Riina.


Il fatto si presta a varie considerazioni:

la prima (e più naturale) constatazione è quella di una sconcertante superficialità nell’amministrazione delle procedure giudiziarie, che, è bene ricordare, si occupa di esseri umani, non di noccioline.
Certo, nel caso di specie, si potrebbe avanzare la “scusante” dell’errore derivante dall’uso (maldestro) di moderne tecnologie che, se ben utilizzate, consentono uno snellimento notevole nei tempi delle procedure giudiziarie.
Purtroppo, questa scusante tale non è. Perché l’uso erroneo (per ignoranza? Per superficialità?) ha comportato l’effetto contrario: cioè una dilatazione dei tempi delle procedure inammissibile.
Fortuna ha voluto che, nel caso in esame, l’errore non ha comportato gravi conseguenze, (perché il Riina è comunque rimasto in carcere per altre colpe), ma provate ad immaginare il contrario (...);

la seconda constatazione è che casi del genere, sono ormai nell’ordine delle cose nell’amministrazione (anche, e purtroppo) della giustizia. E questo accade, non solo per erroneo uso della tecnologia (come sembra essere accaduto nel caso in esame) ma, peggio, molto peggio, per una generale deresponsabilizzazione dei vertici decisionali, il cui principale pensiero è quello di evitare le responsabilità, non di assumersele.
Non per niente, la frase più ricorrente, espressa dai Dirigenti decisionali, in ogni campo della Pubblica Amministrazione (quindi anche nell’amministrazione della Giustizia) è: “io non voglio responsabilità” dimenticando (?) che sono pagati proprio per assumersi le responsabilità connesse alle loro funzioni.
E come si evitano le responsabilità?
A ben guardare, anche con il “copia e incolla”; perché questo rassicura, chi adotta tale sistema decisionale, circa l’esistenza di un precedente che equivale all’esimente (dalla responsabilità) del “già visto”, del “già fatto”, del “già detto”, del “già scritto” e così via.

Siamo nel patetico, ma questa è la realtà.
infine, arriva il pezzo forte: l’analogia con quanto si presume, da più parti, che sia accaduto nel processo di Napoli sullo scandalo Calciopoli.
La sentenza di questo processo, di cui, peraltro, ancora non si conoscono le “motivazioni” (previste per marzo!) sarebbe nulla di più che una specie di “copia e incolla”, in questo caso meglio utilizzato mediante il “mutatis mutandis” , della sentenza sportiva del 2006.
Da più parti, infatti, al di là della generale sorpresa che ha suscitato tale sentenza (rispetto all’andamento ed alle novità emerse dal sottostante processo) perfino nella pubblica accusa, si è parlato di “sentenza fotocopia” (peggio del “copia ed incolla” adattato!) di quella sportiva del 2006.

Pur non essendo ancora note le motivazioni ( quanto tempo, per un altro “copia e incolla” seppure adattato...), la cosa appare alquanto verosimile, per due ordini di motivi:

- innanzitutto, la preoccupazione di evitare “la responsabilità” del decidere, come sopra evidenziato, ricorrendo, quindi, al “già detto” e al “già scritto” (nella sentenza sportiva del 2006), mediante l’uso del “copia e incolla”;

- in secondo luogo, trattasi, nel caso della sentenza di Napoli, del primo grado dell’iter giudiziario; e come ormai appare evidente nella storia giudiziaria italiana, scatta, in tali casi, il rifugio della logica del responsabile successivo (in sostanza, uno scaricabarile della responsabilità della decisione, dal giudice di primo grado, al giudice di appello). Non raramente, infatti, accade che gli stessi giudici di primo grado ricordano e talora caldeggiano, al condannato, la possibilità del ricorso in appello!

Anche qui, siamo nel patetico, ma è così.

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