venerdì 25 gennaio 2013

Azione e reazione nello sport: chi va punito?



In un articolo di circa un anno addietro ebbi a mettere in evidenza alcune storture che insistono, ancora oggi, nelle attività sportive e, in particolare, nello sport più popolare in Italia: il giuoco del calcio.

Misi in evidenza, fra le altre storture, quella concernente la regola (?), in base alla quale vanno punite le “reazioni”, lasciando immuni le “azioni”.

Nella nostra sensibilità, si è fatto largo, “da sempre”, l’idea di una profonda iniquità di questo modo di concepire azione e reazione, nello sport, ai fini della loro punibilità.

A titolo di esempio, ci torna in mente il famoso schiaffo ricevuto, senza plausibile ragione, da Del Piero, attaccante allora della Juventus, da un difensore di una squadra avversaria. Del Piero, incassò senza reagire ma si voltò verso l’arbitro, per capire cosa e come intendeva procedere. Nulla. L’arbitro, in ossequio alla citata regola (?), semplicemente non fece nulla.
I giornali, soprattutto sportivi, del giorno dopo, misero in risalto l’educazione, la compostezza, la sportività e quant’altro, del comportamento di Del Piero (per la mancata reazione). Ma nulla, proprio nulla, dissero della azione (lo schiaffo) e della impunità della stessa sancita dall’arbitro.

Riteniamo di essere cittadini esemplari; credenti, sebbene non praticanti, della religione Cristiana (a chi ti schiaffeggia, offri l’altra guancia...). Eppure, riteniamo che nella “equità” di questa regola “sportiva”, qualcosa non quadri.

Ci siamo ritornati sopra, ora, per quanto accaduto recentemente nel corso della partita Swansea-Chelsea, valida per la Coppa di Premier  League, finita con la vittoria dello Swansea (2-0), e l’eliminazione dalla competizione del Chelsea.

A pochi minuti dalla fine, un raccattapalle, facendo finta di cadere, ha trattenuto il pallone per un tempo spropositato, suscitando le ire e la “reazione” del calciatore del Chelsea, Hazard che, prima ha chiesto il pallone, per rimetterlo in gioco; non ricevendolo, ha cercato di toglierlo dalle mani del raccattapalle; non riuscendovi, lo ha preso con la forza dando un calcio al raccattapalle stesso.
Espulsione: non del raccattapalle. E neppure del raccattapalle “e” di Hazard. Solo di Hazard (cui gli stessi giornali hanno auspicato una “esemplare” sanzione: tre giornate di squalifica).
Tutti i giornali da noi consultati, nessuno escluso, si sono dilungati a biasimare la “reazione” di Hazard. Nessuno, ripetiamo, “nessuno”  ha osato non diciamo giustificare Hazard, ma neppure biasimare il comportamento (chiaramente antisportivo, del raccattapalle); rimasto, peraltro, non solo impunito, ma, a quanto pare, entrato tra le celebrità dei suoi concittadini.

Dopo un paio di giorni, si viene a sapere che quel  raccattapalle è il figlio di un componente del Consiglio di Amministrazione dello Swansea (personaggio, peraltro, straricco...). Ma non basta, si viene anche a conoscere, dalla lettura  della pagina tenuta su Twitter, che il giorno prima della partita, questo raccattapalle aveva promesso ai sui lettori che, se necessario, “col Chelsea perderò tempo” (Vedi articolo sul “Corriere della Sera”  di oggi, 25.01.2013).

Comprendiamo perfettamente l’atteggiamento di questo raccattapalle: giovane (ha 17 anni), tifoso della squadra di casa, “figlio di”, con presunzione di impunità ben conosciuta e via di seguito.
Quello che ancora (e di più) non riusciamo a comprendere, nonostante la nostra, seppure in parte manchevole, religiosità, è il problema di fondo: qualcuno ci dovrebbe spiegare e convincere, con argomentazioni possibilmente anche puerili, perché va punita la “reazione” e solo la reazione, e non, riteniamo più equamente, anche l’”azione”, con i rispettivi “pesi” derivanti dalle modalità, dalle circostanze, dalle rispettive gravità e motivazioni.

Attendiamo con fiducia.