
In
un articolo di circa un anno addietro ebbi a mettere in evidenza alcune storture che insistono, ancora oggi, nelle
attività sportive e, in particolare, nello sport più popolare in Italia: il
giuoco del calcio.
Misi
in evidenza, fra le altre storture, quella concernente la regola (?), in base
alla quale vanno punite le “reazioni”, lasciando immuni le “azioni”.
Nella
nostra sensibilità, si è fatto largo, “da sempre”, l’idea di una profonda iniquità di questo modo di concepire
azione e reazione, nello sport, ai fini
della loro punibilità.
A
titolo di esempio, ci torna in mente il
famoso schiaffo ricevuto, senza plausibile ragione, da Del Piero, attaccante allora della
Juventus, da un difensore di una squadra avversaria. Del Piero, incassò senza
reagire ma si voltò verso l’arbitro, per
capire cosa e come intendeva procedere. Nulla. L’arbitro, in ossequio alla
citata regola (?), semplicemente non fece nulla.
I
giornali, soprattutto sportivi, del giorno dopo, misero in risalto
l’educazione, la compostezza, la sportività e quant’altro, del comportamento di Del Piero (per la mancata
reazione). Ma nulla, proprio nulla, dissero della azione (lo schiaffo) e della
impunità della stessa sancita dall’arbitro.
Riteniamo
di essere cittadini esemplari; credenti, sebbene non praticanti, della religione
Cristiana (a chi ti schiaffeggia, offri l’altra guancia...). Eppure, riteniamo
che nella “equità” di questa regola “sportiva”, qualcosa non quadri.
Ci
siamo ritornati sopra, ora, per quanto accaduto recentemente nel corso della
partita Swansea-Chelsea, valida per la Coppa di Premier League, finita con la vittoria dello Swansea
(2-0), e l’eliminazione dalla
competizione del Chelsea.
A pochi minuti dalla fine, un raccattapalle,
facendo finta di cadere, ha trattenuto il pallone per un tempo spropositato,
suscitando le ire e la “reazione” del calciatore del Chelsea, Hazard che, prima ha chiesto il
pallone, per rimetterlo in gioco; non ricevendolo, ha cercato di toglierlo
dalle mani del raccattapalle; non riuscendovi, lo ha preso con la forza dando un calcio al raccattapalle stesso.
Espulsione:
non del raccattapalle. E neppure del raccattapalle “e” di
Hazard. Solo di Hazard (cui gli stessi giornali hanno auspicato una “esemplare”
sanzione: tre giornate di squalifica).
Tutti
i giornali da noi consultati, nessuno
escluso, si sono dilungati a biasimare
la “reazione” di Hazard. Nessuno, ripetiamo, “nessuno” ha osato non diciamo giustificare Hazard, ma
neppure biasimare il comportamento (chiaramente antisportivo, del
raccattapalle); rimasto, peraltro, non solo impunito, ma, a quanto pare,
entrato tra le celebrità dei suoi concittadini.
Dopo
un paio di giorni, si viene a sapere che quel raccattapalle è il figlio di un componente del
Consiglio di Amministrazione dello Swansea (personaggio, peraltro,
straricco...). Ma non basta, si viene anche a conoscere, dalla lettura della pagina tenuta su Twitter, che il
giorno prima della partita, questo raccattapalle aveva promesso ai sui lettori
che, se necessario, “col Chelsea
perderò tempo” (Vedi articolo sul “Corriere
della Sera” di oggi, 25.01.2013).
Comprendiamo
perfettamente l’atteggiamento di questo raccattapalle: giovane (ha 17 anni),
tifoso della squadra di casa, “figlio di”, con presunzione di impunità ben
conosciuta e via di seguito.
Quello che ancora (e di più) non riusciamo a
comprendere, nonostante la nostra, seppure in parte manchevole, religiosità, è il problema di fondo: qualcuno
ci dovrebbe spiegare e convincere, con argomentazioni possibilmente anche puerili,
perché va punita la “reazione” e solo la reazione, e non, riteniamo più equamente, anche l’”azione”, con i
rispettivi “pesi” derivanti dalle
modalità, dalle circostanze, dalle rispettive gravità e motivazioni.
Attendiamo
con fiducia.